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ARRIVEDERCI IN EX FIERA – 2

ARRIVEDERCI IN EX-FIERA – 2

Finisce tra sorrisi e abbracci, per una volta sovvertendo l’implacabile legge della pallacanestro: malgrado un punto di differenza, tutti vincitori in mezzo al campo. Così la partita tra le ‘stelle’ del Nuovo Basket 2000: usciti l’altro ieri dall’Ex-Fiera come ragazzi rampanti e promettenti, affamati e bramosi di sfondare nel mondo, e rientrati oggi con famiglia e amici al seguito, con animo certamente meno bellicoso rispetto agli esordi, ma con intatta qualità tecnica e morale. Sorride Caterina, la mamma di Antonia, che da chissà dove ha visto l’unica giocatrice in mezzo al campo guadagnarsi la stima e l’ammirazione dei molti presenti: nientemeno come 16 anni fa, con le gambette ancora alla Bambi, quando il Nuovo Basket vinse per la seconda e ultima volta il Memorial Agostino Muner, grazie a due intrepide bambine nel quintetto. Sorride l’Ex-Fiera, che tra le proprie mura ha visto passare centinaia di talenti e dove ogni centimetro quadrato riporta i segni e le gesta di leggende pordenonesi. ‘Scaldate bocia’, si rivolgeva il compianto prof. Ferrin al giovane Turco, che in totale obbedienza come si usava a quei tempi, iniziava la fase di riscaldamento alle spalle della panchina, ossia dietro le tribune: al fischio finale, durante i saluti, il malcapitato stava ancora correndo in attesa di fare il suo ingresso. C’è un album pieno di ricordi, ma la storia continua: ogni bambino/a di oggi e di domani ha diritto di vivere gli stessi sogni di questi/e ragazzi/e di ieri: la pallacanestro non è solo agonismo, è amicizia, rispetto, riconoscenza, lealtà. Non tutti possono diventare giocatori, fa parte dell’algoritmo: tutti possono diventare uomini e donne migliori. Per questo tutti ti amano e hanno voluto darti un saluto, che non è l’ultimo: non sono solo muri, colonne, alberi; sono persone, voci, lacrime, braccia al cielo, strette di mano. Non propriamente o solamente luogo fisico, ma qualcosa che va oltre: palestra e vita, o meglio ancora, ‘palestra di vita’. ‘Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette”, recita una delle più belle canzoni dell’era moderna: ne hai visti tanti, ne vedrai ancora.

“ Arrivederci in Ex-Fiera “

Scriviamo nella lucida consapevolezza che non ti sarà possibile rispondere, anche se pavimenti, muri, colonne, alberi, raccontano da decenni storie uniche e favolose. Sei stata scuola di vita, sala e parco giochi, laboratorio relazionale e affettivo (altro che corsi!), arena spesso inviolabile, fucina di talenti, simbolo e cuore dello sport cittadino. Il signor Olivo, padre putativo di innumerevoli generazioni, custode scrupoloso dal carattere risoluto ma bonario, ha insegnato a tutti i boomers il concetto del limite: cosa si poteva e non poteva fare, l’orario oltre il quale non avventurarsi pena una bella e meritata tirata di orecchie, fisica, non virtuale. Gli allenamenti? Circostanze spiacevoli e inevitabili, gocce insignificanti nel mare di continui e imprevedibili colpi di scena, all’insegna della fantasia e del divertimento perenne. Battaglie all’ultimo sangue sulla piastra esterna, dove il diritto era sostituito dal merito, ossia da chi arrivava per primo al 21; naturalmente, niente bonus o tiri liberi, per raggiungere l’agognata meta c’era un prezzo salatissimo di ferite e contusioni da pagare. Adulti, genitori compresi, assolutamente assenti, ignari di tutto, come se avessero ceduto, consapevolmente, le proprie quote di ‘patria potestà’ (così a quell’epoca stava scritto in calce alla pagella per la firma). In poche parole, un oratorio laico, senza preti, suore e animatori. I grandi vegliavano sui piccoli e i piccoli imitavano i grandi, ne invidiavano le gesta e non vedevano l’ora di prenderne il posto. I piedi sbattuti ritmicamente sulle panche legnose sorrette dai tubi innocenti: entra sul pavimento di granito (!) la Romolo Marchi, mitica squadra della città (e mica c’era il Forum allora), prototipo di quella che affronterà successivamente la grande avventura della serie A, ancora oggi decantata nei bar affollati dagli appassionati di quegli anni magici e irripetibili. Le gare indoor di atletica, chi se le dimentica? Enzo Dal Forno che fa il primato italiano con perfetto stile ventrale. Chi più chi meno, ti siamo tutti debitori: chi non è diventato/a giocatore/trice è diventato uomo/donna migliore. Chi non ci è passato da figlio, lo ha fatto da genitore o viceversa. Se non da giocatore, da allenatore, arbitro, dirigente. Se non da alunno, da insegnante. Non c’è pordenonese che non ti conosca o non provi affetto. A malincuore, oggi, le nostre strade provvisoriamente si separano, nella speranza di rincontrarci presto, il prima possibile. Un arrivederci, non un addio. Ti aspetteremo, costi quel che costi. Perché per tutti noi sei stata, sei e sarai sempre l’Ex Fiera, anzi Ex – trattino – Fiera: nulla di più, nulla di meno. 

“Al lupo”

“Al lupo, al lupo!”. Le grida terrorizzate che accompagnano la nuova legge sul vincolo sportivo, anche e soprattutto da parte dei vertici federali, spiegano il malumore diffuso nell’universo dilettantistico e amatoriale. Per il Nuovo Basket 2000, nato al sorgere del terzo millennio, non si tratta altro che il riconoscimento normativo di un principio già esistente alle origini stesse del sodalizio: infatti, oltre alla dicitura meccanografica, valida per la partecipazione ai campionati, il sottotitolo recitava “il basket senza vincoli”. Difficile dimenticare, anche se sono trascorsi più di vent’anni, le lotte condotte dal cofondatore avv. Paolo Moro, condivise pienamente dal Consiglio Direttivo, in nome della libertà di associazione, in particolare dei praticanti minori d’età. Attacchi, respingimenti, derisioni, nei casi peggiori; nei casi migliori, pacche sulle spalle, sguardi compassionevoli, parole comprensive ma anche pregne di disillusione e avvertimento: queste le reazioni più comuni per un’idea, vista allora, come un pugno sullo stomaco per le società dilettantistiche. Le obiezioni più frequenti: come fa a sopravvivere una società se da un anno all’altro non può contare sulla certezza dei propri iscritti? Poi, il nodo famiglie: se i genitori si inventano, da un giorno all’altro, di portare via il proprio figlio, perché ammaliati da richieste di società blasonate, come facciamo a costruire le squadre e a programmare l’attività? La risposta a queste domande è contenuta nella storia più che ventennale del Nuovo Basket 2000: la società gode di buona salute, non ha chiuso i battenti, non ha smesso di prodigarsi ogni giorno nel tentativo di creare opportunità sane di crescita per la gioventù della città. Non che non ci siano state emorragie, alcune certamente faticose da accettare: molti giocatori avviati verso società più solide e organizzate, che hanno spalancato carriere importanti, tuttora in corso. Ciò che deve muovere lo sport di base, non è la logica del possesso, ma quella di consentire a chiunque di far emergere il talento spesso nascosto: se per far sbocciare questo talento è necessario affidarsi ad altri, è giusto privilegiare ciò che è buono per lui. Domanda: ma chi ci ripaga del nostro lavoro come dirigenti, allenatori, palestre? Il rimborso sta nel poter apprezzare un giocatore che finalmente ha potuto librare le ali e diventare ciò che prima era solo allo stato grezzo. E, nella legge della compensazione, alla partenza di uno c’è sempre qualcun altro pronto a prenderne il posto. Vivere in uno stato di provvisorietà, non di indispensabilità, aiuterà tutti quanti ad essere più creativi ed efficaci nelle proposte e nei programmi. Il Nuovo Basket ci prova, ogni giorno, ad essere al passo con i tempi, a proporre allenatori e istruttori all’altezza: quando le cose sono fatte bene, almeno nelle intenzioni, difficilmente falliscono.

Lo sport che unisce

1980, capelli lunghi, barba incolta e dita che arpeggiano maldestramente Bob Dylan e De Gregori. L’Italia della pallacanestro vince l’argento alle Olimpiadi di Mosca e non è pensabile che sarebbe andata nello stesso modo se ci fossero stati gli Stati Uniti. 4 anni dopo, Los Angeles: stravincono gli americani, sia nel maschile che nel femminile, sovietici assenti illustri. Capitoli brutali – non di certo gli unici -, vicende del passato, dove la politica prende il sopravvento sull’essenza stessa del concetto di sport. Pagine che speravamo di aver strappato per sempre. 2022, barba e capelli bianchi, chitarra inesorabilmente appesa al chiodo: Eurolega dimezzata, Wimbledon interdetta agli atleti russi. Sono passati più di 40 anni, ma l’impressione è che non si impari mai dagli errori. Lo sport per gli antichi rappresentava la tregua, la parentesi tra le guerre. Ci si serviva dell’aggressività e della violenza non per eliminare il nemico, ma per prevalere sull’avversario. Le Olimpiadi, per i greci, erano l’occasione per misurarsi in prove di forza e coraggio elevandosi quasi a livello degli dei. Lo sport, da sempre, è il luogo del libero confronto e della competizione leale tra razze, confessioni, culture e tradizioni diverse. Persino a Berlino, in occasione delle Olimpiadi della magnificenza nazista, fu concesso ad un atleta di colore di gareggiare e stravincere, malgrado forti pressioni perché fosse escluso. Gli sportivi, gli artisti, i musicisti, gli scrittori, pur avendo radici inestirpabili e provenienze circoscrivibili in confini geografici, diventano cittadini del mondo nel momento in cui le loro prodezze, opere e qualità vengono messe a disposizione della comunità umana. Qualsiasi competizione sportiva, monca di una parte, perde di valore e di significato: come potrebbe essere assegnato un titolo italiano se ad una regione non fosse concesso partecipare? Siamo tutti d’accordo quando ad essere esclusi sono gli altri: e se un giorno capitasse a noi friulani, italiani? Lo sport unisce dove la politica divide: questo è il messaggio che tutti dobbiamo avere il coraggio di difendere e urlare.