Categoria: Eventi

Box di lusso

Qua e là si apprende che molte società blasonate d’Italia, con i vivai più importanti e floridi, avrebbero deciso di non partecipare ai campionati o, a dirla tutta con onestà, ad un surrogato fatto di una manciata di partite in uno spazio ristretto di tempo. Per carità, ognuno è libero di fare ciò che vuole a casa propria. Ci saranno milioni di valide ragioni. Tuttavia, è lecito chiedersi: se per questi mostri sacri della pallacanestro i benefici sarebbero minori dei ricavi, in che cosa consiste il vantaggio per tante altre società dal modesto rango che stentano a stare a galla chiedendo alle famiglie sforzi ulteriori per far indossare, almeno per un pugno di volte, la casacca della festa? L’allenamento è essenziale e imprescindibile: laboratorio di vera fatica e lenta costruzione della mente, del corpo e del cuore a servizio dell’unicum, l’identità di squadra. La partita è il luogo dove ciò che si prepara – e non si prepara -, si manifesta in totale schiettezza e crudeltà. Questi due elementi sono reciproci e complementari: non c’è allenamento senza partita, non c’è partita senza allenamento. I ragazzi che hanno perso più di un anno di gare non vedono l’ora di bagnare i piedi sul parquet, consapevoli, a buona ragione, che cento allenamenti, la gran parte trascorsi a distanza, non valgono una sola partita vera. Ne vale la pena? Alcuni hanno risposto si. In gioco non c’è solo la formazione tecnica dei giocatori, di cui la competizione è parte rilevante. C’è un aspetto, forse più rilevante e meno considerato, che risiede nelle potenti leve motivazionali degli adolescenti: tornare a guardare, toccare, annusare, in una parola ‘vivere’, quelle emozioni per troppo tempo rimaste sopite in qualche angolo dell’esistenza. Peccato, un campionato senza le big è monco: giocare contro Virtus Bologna o Pallacanestro Reggiana e beccarne 50 è forse l’esperienza migliore possa capitare. È plausibile non valga al contrario. Ma la pallacanestro italiana, così ferita al cuore, non può permettersi di lasciare le squadre ai box: troppo tempo ferma, anche una Ferrari si ossida e si arrugginisce.

Vacanze Pasquali

Le attività sportive sono sospese per le vacanze pasquali.

Auguri a tutti da parte del Presidente, dei dirigenti e di tutto lo staff.

Martedì 6 aprile riprenderanno le attività dei gruppi giovanili, mentre il MiniBasket ricomincia con giovedì 8 aprile.

sport missing

È sparito lo sport. Non esiste più. Spadafora, che se non altro ha avuto l’onestà di dichiarare la propria ignoranza in materia, è un lusso che non ci si può più permettere. Dalla mongolfiera che a fatica si alza da terra è stata gettata la prima inutile zavorra. Che problema c’è? Tanto in TV ci sono le coppe, le Olimpiadi invernali, la coppa Italia di basket: peccato che questi eventi vedano protagonisti lo 0,1 della popolazione, mentre il restante 99,99 si deve accontentare di una buona poltrona e, se fortunati, di una tazza di tè fumante (viste le temperature). È un messaggio chiaro, non nuovo per la verità, abituati come siamo a ricevere ‘conforto’ con pile di parole vuote al posto di vero ‘ristoro’, che sia sotto forma di idee, innovazione o contributo finanziario. Lo sport di base, quello pulsante, costituito da innumerevoli eserciti di dilettanti (la gran parte soggetti in età evolutiva), è abbandonato alla deriva, lasciato in balia delle onde, contenuto in una bottiglia che forse qualche postero raccoglierà sperando abbia più compassione dei brutali giorni correnti. Le associazioni sportive languono ma restano l’ultimo e unico presidio disponibile per la formazione delle generazioni future grazie alla proposta di attività motorie adeguate e ad una sana concezione della competitività. Forse è utile ricordarlo, se le ASD dovessero interrompere il funzionamento causa forza maggiore, inevitabilmente tutto il banco salterà in aria: non ci saranno nazionali e serie A, tantomeno Olimpiadi o campionati internazionali. Non si è visto alcun atleta professionista costruito in laboratorio: tutti i giocatori che vediamo correre e saltare dietro uno schermo sono il frutto di anni di lavoro trascorsi in oratorio, al campetto, in società sportive ai più sconosciute e ai margini dei riflettori mediatici. Per fortuna il talento sfugge ancora alla programmazione, si trova nascosto nei posti più impensati. Il ‘circo’, per andare avanti, ha bisogno di acrobati, trapezisti, saltimbanco: quando non si troveranno più, allora ci ricorderemo dello sport. Sperando, nel frattempo, i ‘buoi’ (ossia gli atleti) non siano già scappati altrove.

La legge del tutto o del nulla

‘Xe pèso el tacòn del buso’, per dirla in meneghel. Dopo due mesi di silenzio assordante – e, ancor più preoccupante, di malsano menefreghismo – esce la trovata del secolo: tra le categorie di ‘preminente’ interesse, oltre a quelle senior, ci sono le giovanili con finali nazionali annesse, tradotto, eccellenze ed élite. Società e squadre ‘blasonate’, che rappresentano il 10% del movimento, possono riprendere ad allenarsi: tutti gli altri in attesa di una liberatoria che, dalle previsioni, tarderà ad arrivare. Diamine, ci si può sempre allenare all’aperto: dunque, ci saranno atleti della stessa società sportiva che si guarderanno dalle vetrate. Chi al calduccio e su pavimento tenero, chi al freddo e al gelo, come il bambinello, con la neve sui bordi e il terreno rigido sotto i piedi. Chi potrà stare in albergo con tutti i confort annessi e chi dovrà accontentarsi di una mangiatoia con il bue e l’asinello. Sfugge a tutti il senso e la produttività di questa decisione: se la posta in gioco è determinata dall’aggettivo ‘preminente’, allora diventa cruciale declinarlo alla particolare situazione che sta vivendo la pallacanestro tricolore. Siamo proprio sicuri che il futuro del nostro sport tanto amato dipenda da quel 10% – per carità, costituito da ambienti fortemente organizzati e staff tecnici altamente professionali – e che si possa sacrificare sull’altare il restante 90 considerato ‘non preminente’? L’esperienza sul campo, che certamente non è tutto ma è indicativa, rivela che tra i due mondi, quello ‘eccellente’ e ‘non eccellente’, non esiste necessariamente un differenziale tecnico ma, soprattutto, vige un rapporto dinamico, fatto di continue porte girevoli, di ingressi e uscite, a testimonianza che le situazioni e i giocatori sono mutevoli, in continua evoluzione. Non è la prima volta che atleti considerati di livello nazionale siano finiti nel tempo nel dimenticatoio ed altri, inizialmente scartati, nell’Olimpo cestistico. Il sistema nervoso funziona con la legge del tutto o del nulla: anche in questo caso sarebbe stato meglio seguirne l’esempio. O tutti o nessuno. Che poi, proseguendo di questo passo, la distinzione tra A e B cadrà definitivamente: tra fughe e rinunce, il famoso aggettivo della discordia non avrà più senso di esistere. Tutti diventeranno nazionali. Finalmente. Pochi, ma nazionali.

2020

Ce ne ricorderemo. O forse no. In un modo o nell’altro. Dove non si è giocato, ci si è allenati a strappi, uno alla volta o in fila per due, con i palloni consumati e di proprietà, spesso di gomma. Dove la normalità è diventata eccezione. Dove l’amore per questo sport si è buttato nel fuoco. Dove stare fermi è stato considerato un atto di eroismo e solidarietà, mentre muoversi un gesto disumano, sconsiderato e sleale. Dove chi doveva prendere decisioni non le ha prese per comodità o codardia, e chi non doveva prenderle le ha prese, mettendoci la faccia e pagando di persona. Dove uno tra i beni più grandi, la salute, è stato scambiato per assenza di malattia. Dove si è fatta discriminazione fra le discipline sportive, additando quelle immuni e quelle contagiose. Dove i bambini e i ragazzi possono fare ginnastica alla mattina ma non allenamento di pomeriggio. Ce ne ricorderemo. O forse no. In un modo e nell’altro. Dove si è  riscoperto la bellezza di fare attività sportiva all’aperto, respirando a pieni polmoni e con soffitti policromi. Dove il rapporto istruttore/atleta si è riempito di contorni inediti, trasformandosi spesso in adulto/ragazzo. Dove la cura del particolare non è più possibile, ma necessaria. Dove ciascuno si è guardato dentro e ha fatto i propri conti: ne vale davvero ancora la pena? Vale davvero la pena ripetere infinite volte lo stesso movimento con o senza palla, escludendo a priori il contatto, la collaborazione, l’essenza stessa dello sport? Dove allo stantio incedere della routine formativa si è dovuto ricorrere all’invenzione, pescando nelle recondite qualità immaginative le scintille per accendere ciò che sembra spento. Dove si è potuto finalmente fare chiarezza tra ciò che è essenziale e ciò che è superfluo, rifinendo accuratamente tutte le sbavature che a volte contaminano la complicata arte dell’insegnare. Dove questa società sportiva ha festeggiato i suoi 20 anni di vita. Ce ne ricorderemo. O forse no. In un modo o nell’altro. Non è detto che siamo migliori di prima. Certamente diversi. E non è detto che sia peggio.

La forza della debolezza

“Ero pelle e ossa, parevo uno scheletro e quindi ispiravo tenerezza: e così, senza neppure essere nella squadra giovanile, giocai insieme ai calciatori dell’Ajax fin da piccolo. È un altro esempio di come uno svantaggio – in questo caso la mia gracilità – si può trasformare in un vantaggio”. È Johan Cruijff a parlare, nella sua splendida autobiografia. Difficile da credere: uno dei più forti giocatori di calcio di sempre rivela al mondo intero che il segreto del suo successo non sta nella genetica, ma nell’aver utilizzato la debolezza come punto di forza (che è comunque pur sempre un talento). Sei piccolo? Sii veloce. Smilzo? Fatti furbo. Sono centinaia gli esempi tra gli eroi sportivi: Garrincha, l’imprendibile ala destra del grande Brasile degli anni ‘60, giocava con una gamba più corta di vari centimetri per una grave poliomielite; Alex Zanardi, che sta combattendo per l’ennesima volta tra la vita e la morte, convertito da pilota ad eccezionale e imbattibile atleta paraolimpico. E tanti altri. Cos’hanno da insegnarci? Che la cima della montagna non è preclusa a nessuno e che si può raggiungere in mille modi diversi: chi camminando, chi arrampicandosi, chi in funivia. Il fine rimane identico, ma ciascuno deve trovare il proprio ‘mezzo’. Quando si è in svantaggio, in qualsiasi sport, esistono due possibilità: o si lascia che il destino venga determinato dagli altri, oppure ciascuno diventa padrone del proprio. Non è un caso che le gare più epiche siano ricordate per la grande capacità di chi parte sfavorito nell’invertire il pronostico avverso. Come mai capita di vedere squadre giocare meglio con un uomo in meno? I tempi che viviamo non possono essere ricordati come favorevoli: eppure, ‘trasformare uno svantaggio in vantaggio’ ci obbliga ad essere creativi, a reinventare il nostro modo di vivere, ad esplorare nuovi spazi di azione, anche nello sport. “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”. Stavolta è uno scienziato, e non uno qualunque, a venirci in soccorso. Ed è con questo spirito che il Nuovo Basket 2000 augura a tutti gli atleti, le famiglie e appassionati un Natale diverso da tutti i precedenti. Un Natale di speranza. Ma soprattutto di coraggio. 

Vincolo? No, grazie

Già nel 2000, anno di fondazione, il Nuovo Basket sanciva nel proprio Statuto l’abrogazione del vincolo sportivo. Fummo riempiti di critiche, a volte di insulti. Da allora – oggi il ministro Spadafora ne ha fatto una legge – non è praticamente cambiato nulla. Perfino la FIP nazionale si è scagliata contro la nuova normativa, pensando di interpretare il pensiero delle società sportive affiliate. Come si fa a difendere il ‘vincolo’ sportivo? La stessa parola suggerisce pensieri orribili: legaccio, limitazione, catena, dominio. Se la sopravvivenza si basa su questi presupposti, meglio che lo sport muoia all’istante. Stiamo parlando di atleti in età giovanile ai quali viene appiccicato un valore e che possono essere utilizzati come merce di scambio. Parliamo di ragazzi e ragazze costretti/e a stare in un ambiente che non soddisfa le proprie ambizioni in nome di un ‘patto di sangue’ siglato ad un’età inconsapevole, dove il gioco predomina sull’agonismo. Quando si è chiuso il recinto, nessuno può scappare: solo un atto di compassione della società che detiene la ‘proprietà’ del giocatore – in alcuni casi una vera e propria trattativa con operazioni economiche  – può aprire i cancelli e restituire la libertà. È incredibile, paradossale, patetico, pensare che nel 2020 qualcuno, soprattutto un minore, possa restare malvolentieri in un posto dove i desideri non possano realizzarsi: con quale spirito collaborativo – visto che parliamo di sport di squadra – un atleta scontento si relazionerà ai propri compagni e allenatore? Al Nuovo Basket 2000 pensiamo da sempre che quella del vincolo sia una battaglia persa e che l’approccio debba essere diametralmente opposto: siamo noi in discussione, noi che dobbiamo creare le condizioni ideali, presentare programmi validi, istruttori qualificati. Quale motivo avrebbe un atleta di andarsene se una società si propone con un profilo altamente professionale, dove anche i minimi dettagli, tecnici ed umani, vengono maniacalmente curati? L’abolizione del vincolo non è altro che il pungolo per tutti a presentare il piatto migliore ai propri tesserati. Pesce grosso mangia pesce piccolo? Pazienza, sappiamo tutti che i grandi campioni hanno iniziato a giocare in società periferiche e sconosciute. Anzi, dovrebbe essere motivo di orgoglio aver regalato un giocatore alla pallacanestro. Peggio, molto peggio, sarebbe avere sulla coscienza l’ennesimo abbandono.