Categoria: Eventi

non ci vogliamo credere

Non ci possiamo e vogliamo credere. Se la notizia fosse confermata – sperando in un improbabile dietrofront – lo sport italiano, in particolare quello giovanile, darebbe l’addio alle scene. Un altro blocco degli sport di squadra significherebbe non mettere in ginocchio, ma azzerare le società sportive dilettantistiche, aggrappate ormai da tempo come sanguisughe alla sopravvivenza. Non c’è da stupirsi che molti abbiano già mollato, soverchiati da regole spesso impraticabili e dal reperimento sempre più arduo di fondi per mandare avanti la baracca. Interessante la strategia: fino a pochi mesi fa, indiziata era la scuola. Oggi, non si tocca, a costo di classi in quarantena, comportamenti smodati degli studenti, termoscanner non indispensabili e banchi ammassati in aule fatiscenti. Nello sport si stanno facendo sacrifici inimmaginabili per continuare a dare un servizio agli atleti in regime di sicurezza: misurazione temperatura, allenamenti all’aperto (già, le scuole non stanno concedendo le palestre), allenatori mascherati, turni abbreviati per concedere quantomeno a tutti uno spazio per allenarsi, registri di presenze, autodichiarazioni, igienizzazione fra un gruppo e l’altro. Naturalmente tutto a carico del volontariato, non certo di addetti professionisti. In questo delirio pompato ad arte – anche mediatica – sfuggono alcuni aspetti decisivi: le conseguenze sulle nuove generazioni saranno devastanti. Lo sport non è solo vittoria, sconfitta, classifiche, campionati: lo sport è, innanzitutto, salute mentale, prima ancora che fisica. L’indole competitiva è connaturale alla formazione della persona: i ragazzi devono misurarsi con se stessi e con gli altri per diventare gradualmente adulti. Sarà preoccupante l’aumento di casi di sovrappeso e obesità, ma ancor di più di instabilità e indolenza emotiva: dove potrà essere sperimentata e vissuta la gioia se non si potrà vedere un pallone entrare in rete, finire a terra dopo una schiacciata, attraversare la retina del canestro? Davvero non ci vogliamo credere. Se proprio si vuole fermare lo sport, si faccia come in Francia: gli adulti possono aspettare e trovare alternative, i giovani devono assolutamente continuare. Esiste una responsabilità sulla limitazione del contagio, che non è in discussione. Ce n’è un’altra, forse più sotterranea, ma altrettanto importante: il benessere dei giovani, etimologicamente inteso come ‘stare bene’ in ogni componente dell’esistenza. E noi, adulti, abbiamo il dovere di prenderci cura di loro.

care scuole

Care scuole, se ci siete battete un colpo. Lo sport è allo stremo, sta agonizzando come i pesci fuori dall’acqua. Rimangono pochi minuti, ore, giorni, poi sarà la fine. Non riguarda il  professionismo, che si regge su grandi capitali, organizzazione manageriale e strutture di proprietà: è il movimento di base che annaspa, bambini/e, ragazzi/e, giovani che non trovano spazi per allenarsi e coltivare la propria passione. È immaginabile, care scuole, che per voi il problema sia marginale: alle prese con classi pollaio da governare e con il Covid da lasciare fuori la porta, che qualcuno chieda di usufruire delle ‘vostre’ – vostre? – palestre vi lascia particolarmente indifferenti. Ci sono problemi ben più grossi che occuparsi della gioventù che corre, danza, volteggia, schiaccia…Siete talmente preoccupate, care scuole, di non avere responsabilità che ve ne state prendendo una più grande, persino più grave: per tutelare, a detta vostra, la salute della new generation la state paradossalmente minando. Per un contagiato in meno, avremo centinaia e migliaia di ragazzi/e in sovrappeso, con problematiche posturali e in uno stato ipertensivo precoce. Ogni giorno che passa è un atleta in meno: è una corsa contro il tempo, il cont down è iniziato. Tra poco, se non già adesso, lo sport sarà un lusso per pochi eletti, i sopravvissuti della catena darwiniana alla selezione inevitabile della specie. Care scuole, forse non intenzionalmente, tradendo la vocazione educativa, vi state allineando all’idea dominante che l’attività motoria si trovi in fondo alla lista delle necessità. Le palestre, è giusto ricordarlo, non sono state costruite ad uso esclusivo degli alunni, ma per il bisogno della comunità: gli abitanti scolastici transitano, le società sportive rimangono a presidiare il territorio nel compito insostituibile della formazione integrale dei giovani. Care scuole, sbrigatevi: questo ritardo rischia di diventare colposo e a pagarne le conseguenze saranno, come succede spesso, gli innocenti. ‘Per quanto vi crediate assolte, siete lo stesso coinvolte’.

MINIBASKET2000WINNERPLUS

Sono aperte ufficialmente le iscrizioni al Minibasket 2000 Winner Plus, nato dalla collaborazione tra Sistema Basket e Nuovo Basket 2000. Ci si può recare presso gli uffici dell’ex Fiera tutti i giorni feriali dalle 17.00 alle 19.00. Per informazioni scrivere a nuovobasket2000@libero.it oppure chiamare 0434/520824 334/3373207

custodi non proprietari

Se la notizia fosse confermata, per lo sport in generale e la pallacanestro in particolare, sarebbe la fine. L’aspetto più disturbante di tutta questa vicenda è la presunzione, da parte dei vertici di ciascuna istituzione scolastica, di possedere ogni diritto sugli impianti sportivi. Difficile capire che le palestre non possano essere concepite come aule: in queste ultime si fa lezione frontale con tanto di banchi, nelle prime si svolgono le attività motorie e sportive. Se fossimo dall’altra parte dell’Atlantico, ma non lo siamo, le palestre costituiscono un unicum scolastico e gli atleti sono gli stessi che frequentano le aule: non c’è bisogno di alcuna concessione, ogni alunno trova posto assecondando i propri desideri sportivi. In terra italica, gli utenti pomeridiani sono in gran parte diversi da quelli mattutini e, casualmente ma non troppo, sono generalmente residenti. Ma l’abnorme differenza tra il lato occidentale e quello orientale dell’oceano è soprattutto nella concezione ontologica dello sport: di là, parte essenziale della formazione umana; di qua, appendice irrilevante se non addirittura inutile ed ingombrante. Alle dirigenze scolastiche, parliamoci chiaro, non è mai piaciuto concedere – si, concedere! – le palestre alle associazioni sportive: pulizie, manutenzioni, guasti, rotture. Come se qualcuno si infiltrasse in casa propria senza chiedere il permesso. Non è stato il COVID a mettere in ginocchio il sistema, è il sistema stesso che è sbagliato all’origine: le palestre non sono proprietà delle scuole, sono a disposizione della comunità e come tali devono essere utilizzate! Sono le amministrazioni locali che devono gestire la ripartizione. Lasciare agli organi collegiali scolastici il diritto di concedere o meno i locali adibiti all’attività sportiva è una stortura che deve essere abolita in fretta. Ricordandoci che presidi, insegnanti, bidelli, allenatori, siamo tutti ospiti e custodi di queste strutture, non ne siamo proprietari: e se è vero che non siamo a casa nostra, siano terzi  a decidere chi far entrare e chi no.

seconda stella a destra

Dipende: se l’intento è quello di non mollare la guardia e di continuare ad osservare alcune precauzioni, ci trova d’accordo. Se invece diventa un subdolo marchingegno per scoraggiare la libertà di iniziativa, non possiamo accettarlo. Il diritto dei bambini e dei ragazzi al divertimento attraverso la pratica sportiva è sacrosanto e noi, costi quel che costi, ce ne faremo carico. In sicurezza, ma senza esitazione. La strategia del terrore, che trova terreno fertile nel frullatore mediatico, si infrange contro la nostra determinazione nel proseguire la missione che ci è stata affidata: appassionare le nuove generazioni allo sport più bello, la pallacanestro. Inevitabilmente nel mondo, in Italia e, forse e purtroppo, anche qui vicino ci saranno ancora contagi, terapie intensive, decessi: non siamo freddi e cinici di fronte al perdurare pandemico. Tuttavia, fortemente avvertiamo la necessità di offrire un approdo nel mare in tempesta dove navigare a vista sembra la normalità e non l’eccezione. Per questo, per amore del nostro lavoro – inteso come professionalità, non come professione – e non per cieca follia, decidiamo di issare l’ancora e di lasciare immediatamente il porto. ‘Seconda stella a destra, questo è il cammino’. I piccoli avranno due settimane di gioco libero e gratuito all’aperto con il PUFFO CAMP – ritrovo tradizionale di settembre che quest’anno sarà speciale vista la ricorrenza del ventennale – i più grandi inizieranno a sudare in vista, speriamo quanto prima, di misurarsi con i coetanei. Lo sport, soprattutto per gli adolescenti, non è fatto solo di apprendimento, ma anche di confronto: se questo non sarà possibile, tutto sarà destinato a morire, lentamente ma inesorabilmente. Siamo gente di sport, siamo competitivi. Abbiamo imparato a soffrire sui campi: il dolore, gli infortuni, le sconfitte, le umiliazioni, la fatica. Abbiamo affrontato avversari più forti senza tirarci indietro. Il Covid non fa paura, la paura fa il Covid. Non sottovalutiamo, non neghiamo, ma nemmeno esitiamo. Qualcuno dovrà pure mostrare coraggio. 

PUFFO CAMP WINNER PLUS 2020

“ PUFFO WINNER CAMP 2020 “

SPECIAL EDITION 20 ANNI DI NUOVO BASKET 2000

NUOVO BASKET 2000 e SISTEMA BASKET offrono 2 settimane GRATUITE e aperte a TUTTI i bambini/e (annate dal 2010 al 2015) di pallacanestro e gioco all’aperto sulla piastra esterna, con grandi ospiti, innumerevoli sorprese e ricchi gadget. Sarà anche l’occasione per inaugurare i campetti che avranno un nuovo look cromatico.

Le giornate previste sono:

PRIMA SETTIMANA: martedì 1- mercoledì 2 – giovedì 3 SETTEMBRE 2020

SECONDA SETTIMANA mercoledì 9 – giovedì 10 – venerdì 11 SETTEMBRE 2020

Orario: 17.30-19.00

Viste le restrizioni da COVID 19 ancora in vigore, per iscriversi al “PUFFO WINNER CAMP” è necessaria la PRENOTAZIONE  scritta indicando PUFFO WINNER CAMP/nome/cognome/anno di nascita/tutte le settimane/ prima settimana/seconda settimana da inviare:

Whatsapp 334 3373207

e-mail:

nuovobasket2000@libero.it

presidente@sistemabasketpordenone.com

oppure posta privata pagine Facebook Nuovo Basket 2000/Sistema Basket

Attenzione! Posti disponibili in esaurimento 

IMPORTANTE: a posti esauriti verranno ugualmente accettate le iscrizioni e creata una lista d’attesa. In caso di rinuncia dare tempestiva comunicazione per consentire ad altri bambini/e di partecipare al camp.  

Al cuor non si comanda

Tra negazionisti e allarmisti, meglio i ragazzi. Sono loro il paradigma, il punto di partenza, il vero riferimento. Hanno bisogno di adulti impavidi, certo non di pazzi incoscienti, di qualcuno che li prenda forte per mano – metaforicamente purtroppo – e infonda messaggi di speranza. Se i grandi se la fanno sotto, come possiamo pensare che i piccoli ne vengano fuori indenni? Il mondo sportivo, in questa fase, ha un ruolo determinante: rendere normale ciò che sembra straordinario. L’attività fisica non è una componente aggiuntiva, ma essenziale: per arginare i possibili rischi di obesità, per rinforzare il sistema immunitario che, guarda caso, ha il compito di respingere gli attacchi virali. Cose buone e risapute. Ma c’è un altro aspetto, che se trascurato, può, a lungo andare, compromettere la salute – intesa in senso globale – degli adolescenti: dove, come e con chi potranno esprimere le loro emozioni? Le gambe possono andare nei parchi o nei sentieri di montagna, la testa può funzionare in qualsiasi posto, ma il cuore, sede dei sentimenti, come farà ad esprimersi senza un cinque alto, un abbraccio, una condivisione di gioia e dolore che solo l’agonismo può regalare? L’attesa spasmodica per la partita, il fischio dei tre minuti che indica la fine del riscaldamento, il pallone che entra nella retina, il fischio arbitrale ingiusto, la ramanzina del coach all’intervallo, le urla del pubblico – anche se le porte chiuse in alcuni casi non è detto siano un cattivo affare – la vittoria, la sconfitta, i supplementari, la doccia liberatoria. Sensazioni uniche che non si possono ricreare in laboratorio e che i surrogati tecnologici non possono minimamente riprodurre. Dove andranno i ragazzi a liberare le emozioni se lo sport rimane chiuso? Vostre altezze che avete potestà decisionale, signorie dello sport e delle federazioni, è il momento del coraggio: non saranno certo le competizioni, come il calcio dimostra, a diffondere il contagio. Utilizzando tutte le procedure e le precauzioni possibili, non sprecate altro tempo prezioso. Lo sport senza competizione non è sport: lo dice la parola stessa. Gli adulti possono competere con se stessi, i giovani hanno necessità di confrontarsi. Gli allarmi hanno identico valore: se c’è timore per l’epidemia, dobbiamo averlo anche per l’integrità delle nuove generazioni.

L’agonia di scuola e sport

Scuola e sport devono tornare a vivere secondo la propria natura. Per capirsi: se devo entrare in classe per non avere relazioni umane, tanto vale stare a casa; se devo allenarmi o giocare in assenza di fase agonistica, oppure tappandomi il naso e la bocca, meglio chiudere tutto e partecipare ai mondiali di e-basket, così tanto apprezzati in era pandemica. È possibile, per un periodo circoscritto, chiedere il sacrificio di apprendere i contenuti didattici attraverso uno schermo freddo o di praticare la pallacanestro attraverso la ripetizione, a secco, dei movimenti fondamentali della disciplina: ciò nonostante, la sopportazione ha giorni contati, non può che essere a tempo determinato, pena la morte per asfissia delle due istituzioni più significative – beninteso oltre la famiglia – nella formazione integrale dei giovani. Se non si vuole – ed è tutto da dimostrare – che il tempo dei ragazzi venga assorbito per intero da attività virtuali che favoriscono certamente l’area cognitiva ma trascurano inevitabilmente la dimensione fisica ed emozionale, occorre assumersi responsabilità e fare scelte conseguenti. Questo tirare a campare, questa lungaggine nell’indecisionismo, comporteranno effetti gravissimi per tutti gli operatori che a settembre dovranno rimettere in moto la macchina. Ci saranno nuovi contagi? Possibile. Ma non è logico e sensato rimanere fermi in base ad una preoccupazione. Ci sono focolai? Vero. Ma in quanto circoscritti, facilmente arginabili. Se c’è alluvione in Friuli Venezia Giulia, si fermano i campionati anche in Piemonte? Quando si apprende di colleghi che, per via di una certa età, vorrebbero insegnare precauzionalmente a distanza, sorge una domanda: non sono già abbastanza evidenti i rischi della professione? Gli attraversamenti pedonali, i genitori infuriati, i viaggi d’istruzione: insidie permanenti, il mestiere di educare non fa coppia con massima protezione. Questa è l’epoca del coraggio, da non confondersi con temerarietà: il temerario va all’assalto lancia in resta, il coraggioso affronta la realtà assumendo su di sé una dose di rischio. Stando immobili, ogni giorno che passa la scuola e lo sport si spengono: un’agonia lenta, ma inesorabile.

Il sogno di Nathanel

Nathanel, sulla terra, non esiste più. La squadra di giovani cestisti del cielo, già sfortunatamente numerosa, dovrà fare posto ad un altra promessa. È ormai lunga la lista di ragazzi che non potranno più calpestare il legno: a Nathanel piaceva stare in aria, ora i suoi piedi non atterreranno, balzeranno tra una nuvola e l’altra. Quindici anni, un’età meravigliosa: fame di autonomia,  rifugio nell’amicizia, fuga dall’autorità, passione nello sport. Un gioco che si trasforma in tragedia. Un cuore avvezzo a battere forte che improvvisamente si ferma. Per un sorriso che si spegne, una stella si accende. Chi ha la fortuna di poter raccontare le prodezze giovanili, sa perfettamente che un angelo custode o qualche altra entità sconosciuta vegliava sull’imprudenza o sul rischio illimitato di alcune azioni insensate. Chi può dire, in quegli anni di spensieratezza e incoscienza, di non aver mai visto in faccia la morte? Come nella pallacanestro un secondo fa la differenza tra vittoria e sconfitta, così tra la vita e la morte. Un attimo, dove non c’è spazio per il pensiero, dove un ragionamento arriva troppo tardi.  Oggi regna il silenzio e la compassione per chi è sopravvissuto: i familiari che lo piangeranno per sempre, gli amici che si torceranno tra mille domande, i soccorritori che, malgrado gli sforzi e la bravura, non hanno potuto impedire la tragedia. Per chi vive di pallacanestro, ricordare è un dovere: ciò che Nathanel non ha potuto completare, spetta a noi finirlo. Il suo sogno di diventare giocatore diventerà desiderio di ognuno. Nathanel, sulla terra, non esiste più. Nei nostri cuori, già sanguinanti da gravi perdite, un posto lo troverà sempre.

posti liberi

Per una volta, proviamo a mettere da parte le contrapposizioni. Un’idea, una proposta, un’iniziativa, non necessariamente devono rappresentare un pericolo. Lo sport insegna: le squadre che si affrontano non sono entità fatte per distruggersi, semmai il pretesto per tirare fuori il meglio che ciascuno ha dentro. Purtroppo a Pordenone, e non solo in ambito sportivo, spesso e volentieri ogni nascita viene considerata una minaccia per lo status quo. Giusto 20 anni fa, quando sorse il Nuovo Basket 2000, scoppiò un pandemonio: ‘cosa vogliono’, ‘è proprio necessario’, ‘ci sono già abbastanza associazioni in giro’, queste le frasi malevole ricorrenti. ‘Hanno rubato le primizie dell’orto’, quando, in realtà, se le stesse avessero perpetuato con i sistemi di coltivazione precedenti, sarebbe seccato tutto nel giro di qualche mese. Le novità fanno paura, perché rappresentano il cambiamento. Mantenere le posizioni, spartire il controllo, gestire l’esistente: ecco il sedativo perfetto, il tranquillante che placa la smania di mutazione. Gli accordi, eccetto le alleanze in stato di guerra, non si fanno contro qualcuno, ma per favorire la crescita, rifinire il grezzo, trasformare ciò che è ancora informe. Ben vengano tutte le iniziative volte a modificare ciò che sembra immutabile: a meno che, qualcuno si arroghi il diritto di pensare che non esista altra verità o soluzione al di fuori del proprio punto di vista. Non esiste monopolio nel mondo sportivo: esistono entità diverse che rispondono ad esigenze diverse. Pensare di intrappolare il variegato spettro di aspettative in un unico soggetto è sbagliato e fuorviante, oltre che antiquato. C’è posto per tutti e non sarà difficile capire in tempi brevi che la sopravvivenza di uno diventerà la salvezza altrui. Non solo: collaborare tra diversi diventerà la carta vincente. Se c’è qualcuno in pericolo, è proprio la pallacanestro di questi tempi: camminando tra le macerie e i cadaveri ammassati, scorgere qualcuno ancora in piedi disposto ad andare avanti dovrebbe riempire il cuore di speranza.