custodi non proprietari

Se la notizia fosse confermata, per lo sport in generale e la pallacanestro in particolare, sarebbe la fine. L’aspetto più disturbante di tutta questa vicenda è la presunzione, da parte dei vertici di ciascuna istituzione scolastica, di possedere ogni diritto sugli impianti sportivi. Difficile capire che le palestre non possano essere concepite come aule: in queste ultime si fa lezione frontale con tanto di banchi, nelle prime si svolgono le attività motorie e sportive. Se fossimo dall’altra parte dell’Atlantico, ma non lo siamo, le palestre costituiscono un unicum scolastico e gli atleti sono gli stessi che frequentano le aule: non c’è bisogno di alcuna concessione, ogni alunno trova posto assecondando i propri desideri sportivi. In terra italica, gli utenti pomeridiani sono in gran parte diversi da quelli mattutini e, casualmente ma non troppo, sono generalmente residenti. Ma l’abnorme differenza tra il lato occidentale e quello orientale dell’oceano è soprattutto nella concezione ontologica dello sport: di là, parte essenziale della formazione umana; di qua, appendice irrilevante se non addirittura inutile ed ingombrante. Alle dirigenze scolastiche, parliamoci chiaro, non è mai piaciuto concedere – si, concedere! – le palestre alle associazioni sportive: pulizie, manutenzioni, guasti, rotture. Come se qualcuno si infiltrasse in casa propria senza chiedere il permesso. Non è stato il COVID a mettere in ginocchio il sistema, è il sistema stesso che è sbagliato all’origine: le palestre non sono proprietà delle scuole, sono a disposizione della comunità e come tali devono essere utilizzate! Sono le amministrazioni locali che devono gestire la ripartizione. Lasciare agli organi collegiali scolastici il diritto di concedere o meno i locali adibiti all’attività sportiva è una stortura che deve essere abolita in fretta. Ricordandoci che presidi, insegnanti, bidelli, allenatori, siamo tutti ospiti e custodi di queste strutture, non ne siamo proprietari: e se è vero che non siamo a casa nostra, siano terzi  a decidere chi far entrare e chi no.

seconda stella a destra

Dipende: se l’intento è quello di non mollare la guardia e di continuare ad osservare alcune precauzioni, ci trova d’accordo. Se invece diventa un subdolo marchingegno per scoraggiare la libertà di iniziativa, non possiamo accettarlo. Il diritto dei bambini e dei ragazzi al divertimento attraverso la pratica sportiva è sacrosanto e noi, costi quel che costi, ce ne faremo carico. In sicurezza, ma senza esitazione. La strategia del terrore, che trova terreno fertile nel frullatore mediatico, si infrange contro la nostra determinazione nel proseguire la missione che ci è stata affidata: appassionare le nuove generazioni allo sport più bello, la pallacanestro. Inevitabilmente nel mondo, in Italia e, forse e purtroppo, anche qui vicino ci saranno ancora contagi, terapie intensive, decessi: non siamo freddi e cinici di fronte al perdurare pandemico. Tuttavia, fortemente avvertiamo la necessità di offrire un approdo nel mare in tempesta dove navigare a vista sembra la normalità e non l’eccezione. Per questo, per amore del nostro lavoro – inteso come professionalità, non come professione – e non per cieca follia, decidiamo di issare l’ancora e di lasciare immediatamente il porto. ‘Seconda stella a destra, questo è il cammino’. I piccoli avranno due settimane di gioco libero e gratuito all’aperto con il PUFFO CAMP – ritrovo tradizionale di settembre che quest’anno sarà speciale vista la ricorrenza del ventennale – i più grandi inizieranno a sudare in vista, speriamo quanto prima, di misurarsi con i coetanei. Lo sport, soprattutto per gli adolescenti, non è fatto solo di apprendimento, ma anche di confronto: se questo non sarà possibile, tutto sarà destinato a morire, lentamente ma inesorabilmente. Siamo gente di sport, siamo competitivi. Abbiamo imparato a soffrire sui campi: il dolore, gli infortuni, le sconfitte, le umiliazioni, la fatica. Abbiamo affrontato avversari più forti senza tirarci indietro. Il Covid non fa paura, la paura fa il Covid. Non sottovalutiamo, non neghiamo, ma nemmeno esitiamo. Qualcuno dovrà pure mostrare coraggio. 

PUFFO CAMP WINNER PLUS 2020

“ PUFFO WINNER CAMP 2020 “

SPECIAL EDITION 20 ANNI DI NUOVO BASKET 2000

NUOVO BASKET 2000 e SISTEMA BASKET offrono 2 settimane GRATUITE e aperte a TUTTI i bambini/e (annate dal 2010 al 2015) di pallacanestro e gioco all’aperto sulla piastra esterna, con grandi ospiti, innumerevoli sorprese e ricchi gadget. Sarà anche l’occasione per inaugurare i campetti che avranno un nuovo look cromatico.

Le giornate previste sono:

PRIMA SETTIMANA: martedì 1- mercoledì 2 – giovedì 3 SETTEMBRE 2020

SECONDA SETTIMANA mercoledì 9 – giovedì 10 – venerdì 11 SETTEMBRE 2020

Orario: 17.30-19.00

Viste le restrizioni da COVID 19 ancora in vigore, per iscriversi al “PUFFO WINNER CAMP” è necessaria la PRENOTAZIONE  scritta indicando PUFFO WINNER CAMP/nome/cognome/anno di nascita/tutte le settimane/ prima settimana/seconda settimana da inviare:

Whatsapp 334 3373207

e-mail:

nuovobasket2000@libero.it

presidente@sistemabasketpordenone.com

oppure posta privata pagine Facebook Nuovo Basket 2000/Sistema Basket

Attenzione! Posti disponibili in esaurimento 

IMPORTANTE: a posti esauriti verranno ugualmente accettate le iscrizioni e creata una lista d’attesa. In caso di rinuncia dare tempestiva comunicazione per consentire ad altri bambini/e di partecipare al camp.  

Al cuor non si comanda

Tra negazionisti e allarmisti, meglio i ragazzi. Sono loro il paradigma, il punto di partenza, il vero riferimento. Hanno bisogno di adulti impavidi, certo non di pazzi incoscienti, di qualcuno che li prenda forte per mano – metaforicamente purtroppo – e infonda messaggi di speranza. Se i grandi se la fanno sotto, come possiamo pensare che i piccoli ne vengano fuori indenni? Il mondo sportivo, in questa fase, ha un ruolo determinante: rendere normale ciò che sembra straordinario. L’attività fisica non è una componente aggiuntiva, ma essenziale: per arginare i possibili rischi di obesità, per rinforzare il sistema immunitario che, guarda caso, ha il compito di respingere gli attacchi virali. Cose buone e risapute. Ma c’è un altro aspetto, che se trascurato, può, a lungo andare, compromettere la salute – intesa in senso globale – degli adolescenti: dove, come e con chi potranno esprimere le loro emozioni? Le gambe possono andare nei parchi o nei sentieri di montagna, la testa può funzionare in qualsiasi posto, ma il cuore, sede dei sentimenti, come farà ad esprimersi senza un cinque alto, un abbraccio, una condivisione di gioia e dolore che solo l’agonismo può regalare? L’attesa spasmodica per la partita, il fischio dei tre minuti che indica la fine del riscaldamento, il pallone che entra nella retina, il fischio arbitrale ingiusto, la ramanzina del coach all’intervallo, le urla del pubblico – anche se le porte chiuse in alcuni casi non è detto siano un cattivo affare – la vittoria, la sconfitta, i supplementari, la doccia liberatoria. Sensazioni uniche che non si possono ricreare in laboratorio e che i surrogati tecnologici non possono minimamente riprodurre. Dove andranno i ragazzi a liberare le emozioni se lo sport rimane chiuso? Vostre altezze che avete potestà decisionale, signorie dello sport e delle federazioni, è il momento del coraggio: non saranno certo le competizioni, come il calcio dimostra, a diffondere il contagio. Utilizzando tutte le procedure e le precauzioni possibili, non sprecate altro tempo prezioso. Lo sport senza competizione non è sport: lo dice la parola stessa. Gli adulti possono competere con se stessi, i giovani hanno necessità di confrontarsi. Gli allarmi hanno identico valore: se c’è timore per l’epidemia, dobbiamo averlo anche per l’integrità delle nuove generazioni.

L’agonia di scuola e sport

Scuola e sport devono tornare a vivere secondo la propria natura. Per capirsi: se devo entrare in classe per non avere relazioni umane, tanto vale stare a casa; se devo allenarmi o giocare in assenza di fase agonistica, oppure tappandomi il naso e la bocca, meglio chiudere tutto e partecipare ai mondiali di e-basket, così tanto apprezzati in era pandemica. È possibile, per un periodo circoscritto, chiedere il sacrificio di apprendere i contenuti didattici attraverso uno schermo freddo o di praticare la pallacanestro attraverso la ripetizione, a secco, dei movimenti fondamentali della disciplina: ciò nonostante, la sopportazione ha giorni contati, non può che essere a tempo determinato, pena la morte per asfissia delle due istituzioni più significative – beninteso oltre la famiglia – nella formazione integrale dei giovani. Se non si vuole – ed è tutto da dimostrare – che il tempo dei ragazzi venga assorbito per intero da attività virtuali che favoriscono certamente l’area cognitiva ma trascurano inevitabilmente la dimensione fisica ed emozionale, occorre assumersi responsabilità e fare scelte conseguenti. Questo tirare a campare, questa lungaggine nell’indecisionismo, comporteranno effetti gravissimi per tutti gli operatori che a settembre dovranno rimettere in moto la macchina. Ci saranno nuovi contagi? Possibile. Ma non è logico e sensato rimanere fermi in base ad una preoccupazione. Ci sono focolai? Vero. Ma in quanto circoscritti, facilmente arginabili. Se c’è alluvione in Friuli Venezia Giulia, si fermano i campionati anche in Piemonte? Quando si apprende di colleghi che, per via di una certa età, vorrebbero insegnare precauzionalmente a distanza, sorge una domanda: non sono già abbastanza evidenti i rischi della professione? Gli attraversamenti pedonali, i genitori infuriati, i viaggi d’istruzione: insidie permanenti, il mestiere di educare non fa coppia con massima protezione. Questa è l’epoca del coraggio, da non confondersi con temerarietà: il temerario va all’assalto lancia in resta, il coraggioso affronta la realtà assumendo su di sé una dose di rischio. Stando immobili, ogni giorno che passa la scuola e lo sport si spengono: un’agonia lenta, ma inesorabile.

Il sogno di Nathanel

Nathanel, sulla terra, non esiste più. La squadra di giovani cestisti del cielo, già sfortunatamente numerosa, dovrà fare posto ad un altra promessa. È ormai lunga la lista di ragazzi che non potranno più calpestare il legno: a Nathanel piaceva stare in aria, ora i suoi piedi non atterreranno, balzeranno tra una nuvola e l’altra. Quindici anni, un’età meravigliosa: fame di autonomia,  rifugio nell’amicizia, fuga dall’autorità, passione nello sport. Un gioco che si trasforma in tragedia. Un cuore avvezzo a battere forte che improvvisamente si ferma. Per un sorriso che si spegne, una stella si accende. Chi ha la fortuna di poter raccontare le prodezze giovanili, sa perfettamente che un angelo custode o qualche altra entità sconosciuta vegliava sull’imprudenza o sul rischio illimitato di alcune azioni insensate. Chi può dire, in quegli anni di spensieratezza e incoscienza, di non aver mai visto in faccia la morte? Come nella pallacanestro un secondo fa la differenza tra vittoria e sconfitta, così tra la vita e la morte. Un attimo, dove non c’è spazio per il pensiero, dove un ragionamento arriva troppo tardi.  Oggi regna il silenzio e la compassione per chi è sopravvissuto: i familiari che lo piangeranno per sempre, gli amici che si torceranno tra mille domande, i soccorritori che, malgrado gli sforzi e la bravura, non hanno potuto impedire la tragedia. Per chi vive di pallacanestro, ricordare è un dovere: ciò che Nathanel non ha potuto completare, spetta a noi finirlo. Il suo sogno di diventare giocatore diventerà desiderio di ognuno. Nathanel, sulla terra, non esiste più. Nei nostri cuori, già sanguinanti da gravi perdite, un posto lo troverà sempre.

posti liberi

Per una volta, proviamo a mettere da parte le contrapposizioni. Un’idea, una proposta, un’iniziativa, non necessariamente devono rappresentare un pericolo. Lo sport insegna: le squadre che si affrontano non sono entità fatte per distruggersi, semmai il pretesto per tirare fuori il meglio che ciascuno ha dentro. Purtroppo a Pordenone, e non solo in ambito sportivo, spesso e volentieri ogni nascita viene considerata una minaccia per lo status quo. Giusto 20 anni fa, quando sorse il Nuovo Basket 2000, scoppiò un pandemonio: ‘cosa vogliono’, ‘è proprio necessario’, ‘ci sono già abbastanza associazioni in giro’, queste le frasi malevole ricorrenti. ‘Hanno rubato le primizie dell’orto’, quando, in realtà, se le stesse avessero perpetuato con i sistemi di coltivazione precedenti, sarebbe seccato tutto nel giro di qualche mese. Le novità fanno paura, perché rappresentano il cambiamento. Mantenere le posizioni, spartire il controllo, gestire l’esistente: ecco il sedativo perfetto, il tranquillante che placa la smania di mutazione. Gli accordi, eccetto le alleanze in stato di guerra, non si fanno contro qualcuno, ma per favorire la crescita, rifinire il grezzo, trasformare ciò che è ancora informe. Ben vengano tutte le iniziative volte a modificare ciò che sembra immutabile: a meno che, qualcuno si arroghi il diritto di pensare che non esista altra verità o soluzione al di fuori del proprio punto di vista. Non esiste monopolio nel mondo sportivo: esistono entità diverse che rispondono ad esigenze diverse. Pensare di intrappolare il variegato spettro di aspettative in un unico soggetto è sbagliato e fuorviante, oltre che antiquato. C’è posto per tutti e non sarà difficile capire in tempi brevi che la sopravvivenza di uno diventerà la salvezza altrui. Non solo: collaborare tra diversi diventerà la carta vincente. Se c’è qualcuno in pericolo, è proprio la pallacanestro di questi tempi: camminando tra le macerie e i cadaveri ammassati, scorgere qualcuno ancora in piedi disposto ad andare avanti dovrebbe riempire il cuore di speranza. 

 

Accordo di collaborazione tra NUOVO BASKET 2000 e SISTEMA BASKET PORDENONE

COMUNICATO CONGIUNTO 

Le ASD SISTEMA BASKET e NUOVO BASKET 2000 hanno siglato un accordo di collaborazione nell’intento di dare maggiore visibilità e consistenza al movimento della pallacanestro a PORDENONE unendo risorse umane, tecniche, organizzative ed economiche per lo sviluppo di questa disciplina sportiva così intimamente e storicamente legata alla città. 

Le necessità, per il SISTEMA BASKET, titolare della prima squadra attualmente partecipante al campionato di C GOLD, di avere un settore giovanile di riferimento a cui attingere, e per il NUOVO BASKET 2000, da vent’anni scuola di pallacanestro nel cuore cittadino, di favorire ai propri giovani atleti uno sbocco naturale verso la maturazione tecnica e il completamento formativo, si sono spontaneamente incontrate per dare vita ad un percorso che, negli anni, dovrebbe consentire, come è sempre stato, il lancio dei giocatori pordenonesi più promettenti nelle fila del team che rappresenta la città.

Consequenzialmente, il NUOVO BASKET 2000 diventa società satellite del SISTEMA BASKET; tutte le formazioni giovanili indosseranno l’identica divisa che riporterà il doppio logo a  simboleggiare l’avvenuto accordo nel rispetto delle diverse identità. Come immediata iniziativa, è stata allestita una formazione under 20 con i migliori prospetti che daranno linfa e profondità alla rosa della prima squadra pordenonese.

A breve, verranno resi pubblici tutti gli eventi legati a questa storica sinergia, a partire da inizio settembre dove sui campi all’aperto dell’EX FIERA si apriranno i festeggiamenti per i 20 anni di vita del NUOVO BASKET 2000. Tale circostanza, tra divertimento per i bambini e allenamento per i più grandi, sarà l’occasione formidabile perché i due mondi, junior e senior, si possano fisicamente incontrare e conoscersi, dando inizio ad un cammino fianco a fianco che, nella speranza di tutti, possa essere longevo e fruttuoso.

amore e pallacanestro

Cos’è l’amore per la pallacanestro? In estrema sintesi: la restituzione di ciò che abbiamo ricevuto. Ne abbiamo avuto prova in questi ultimi giorni: due allenatori professionisti, che hanno fatto della pallacanestro la propria vita, si sono spesi senza risparmio in sapienza e fervore; insieme a loro, un manipolo di ragazzi desiderosi e spugnosi, irrefrenabili nel tentativo di catturare movimenti, concetti e parole nuove. Una iniziativa nata per caso, tra un caffè e una chiacchierata,  potremmo dire come piace oggi ‘in emergenza’, volutamente protetta da schematismi programmatici che potessero minarne la fragranza. E come spesso accade, ciò che esce spontaneamente diventa una meraviglia per gli occhi. Una settimana unica, indimenticabile; chi l’ha vissuta, potrà raccontarla negli anni a venire perché come dice il sommo, ‘le più belle cose durano un giorno, come le rose’. Non era così indispensabile riempire il tempo di ragazzi annoiati: gli effetti saranno visibili per anni, non c’è virus più potente e ineliminabile della passione. È stato un incontro speciale, tra due mondi solitamente distanti e inavvicinabili: allenatori professionisti che si occupano di giovani amatori. Quando mai? Trattati per nome e con i guanti bianchi! Non finiremo mai di ringraziare abbastanza Gianni Montemurro e Andrea Vicenzutto per aver smesso giacca e cravatta e indossato, per l’occasione, il grembiule di lavoro. A loro auguriamo sinceramente il meglio: saperli da queste parti è per noi una straordinaria opportunità, ma se dovessimo perderli sapendo che stanno operando altrove, saremmo doppiamente felici. Perché due estremi possano avvicinarsi, è necessario che chi sta in alto si abbassi e chi sta sotto faccia l’inverso. I ragazzi hanno fatto del loro meglio: i volti sorridenti, ma anche dispiaciuti, durante gli attimi conclusivi ne sono testimonianza tangibile. Messaggio per tutti gli operatori del settore: se vi sentite in credito, non è questo il vostro posto. Oggi, più che mai, non c’è  bisogno di mascherine, ma di generosità. Sarà l’amore a salvare la pallacanestro.

Giù la maschera

Mascherina e sport sono ossimori. Possiamo scomodare la NASA, i migliori cervelli sparsi nel globo terraqueo, la risultante non cambia: se il dispositivo serve a intercettare le particelle virali in entrata e uscita, lo stesso vale per l’anidride carbonica e l’ossigeno. Perciò, se durante lo sforzo fisico si va inevitabilmente in iperventilazione, la maschera diventa un impedimento alle normali funzioni respiratorie. Punto. Chi ha provato a giocare con la maschera, quella vera, dopo aver subito un trauma al setto nasale, conosce bene l’argomento. In aggiunta, vogliamo parlare di visione periferica e di sudorazione? Negli sport di squadra, il controllo visivo a 360 gradi è fondamentale, soprattutto di questi tempi dove le azioni di gioco si sviluppano in frazioni di secondo. Cosa sappiamo, poi, degli effetti dei materiali sulla pelle, visto che si parla di totale aderenza? Qualcuno, per caso, ha fatto i conti con atleti asmatici? Facciamo un semplice ragionamento: per evitare il rischio di improbabili contagi, ne prendiamo un altro di proporzioni maggiori, in un mondo inesplorato dove le conseguenze, al momento sconosciute, possono essere fatali? Ho profondo rispetto per i ricercatori del Politecnico, capaci di ideare e realizzare prodotti di alta specializzazione, in condizioni di normalità: lo sport agonistico, che richiede contenuti fisiologici vicino al limite estremo, risponde a parametri totalmente diversi. C’è da augurarsi un ripensamento: sarebbe una follia obbligare tutti gli atleti, in particolare i più giovani, ad indossare la protezione per partecipare alle gare di campionato. La pallacanestro, come la pallavolo, sono quelle che abbiamo conosciuto fino ad oggi: se non si è nelle condizioni di riprendere secondo le modalità consuete, vuol dire che ci si allenerà sui fondamentali fino a vomitarli e l’agonismo attenderà tempi migliori. Abbiamo giustamente tolto l’inutile dal corpo (collanine, orecchini, anelli, orologi) per ragioni preventive, ora invece lo indossiamo! Sarebbe necessaria una riflessione anche sull’aspetto economico della vicenda, meglio sorvolare per ragioni di spazio e tutela personale. Spiacente caro Marco, incolpevole testimonial, grande simbolo della pallacanestro italiana ed orgoglio della nostra terra, su questa strada non ti seguo: non averne a male. Ti preferisco senza.