Giorno: 11 Ottobre 2020

non ci vogliamo credere

Non ci possiamo e vogliamo credere. Se la notizia fosse confermata – sperando in un improbabile dietrofront – lo sport italiano, in particolare quello giovanile, darebbe l’addio alle scene. Un altro blocco degli sport di squadra significherebbe non mettere in ginocchio, ma azzerare le società sportive dilettantistiche, aggrappate ormai da tempo come sanguisughe alla sopravvivenza. Non c’è da stupirsi che molti abbiano già mollato, soverchiati da regole spesso impraticabili e dal reperimento sempre più arduo di fondi per mandare avanti la baracca. Interessante la strategia: fino a pochi mesi fa, indiziata era la scuola. Oggi, non si tocca, a costo di classi in quarantena, comportamenti smodati degli studenti, termoscanner non indispensabili e banchi ammassati in aule fatiscenti. Nello sport si stanno facendo sacrifici inimmaginabili per continuare a dare un servizio agli atleti in regime di sicurezza: misurazione temperatura, allenamenti all’aperto (già, le scuole non stanno concedendo le palestre), allenatori mascherati, turni abbreviati per concedere quantomeno a tutti uno spazio per allenarsi, registri di presenze, autodichiarazioni, igienizzazione fra un gruppo e l’altro. Naturalmente tutto a carico del volontariato, non certo di addetti professionisti. In questo delirio pompato ad arte – anche mediatica – sfuggono alcuni aspetti decisivi: le conseguenze sulle nuove generazioni saranno devastanti. Lo sport non è solo vittoria, sconfitta, classifiche, campionati: lo sport è, innanzitutto, salute mentale, prima ancora che fisica. L’indole competitiva è connaturale alla formazione della persona: i ragazzi devono misurarsi con se stessi e con gli altri per diventare gradualmente adulti. Sarà preoccupante l’aumento di casi di sovrappeso e obesità, ma ancor di più di instabilità e indolenza emotiva: dove potrà essere sperimentata e vissuta la gioia se non si potrà vedere un pallone entrare in rete, finire a terra dopo una schiacciata, attraversare la retina del canestro? Davvero non ci vogliamo credere. Se proprio si vuole fermare lo sport, si faccia come in Francia: gli adulti possono aspettare e trovare alternative, i giovani devono assolutamente continuare. Esiste una responsabilità sulla limitazione del contagio, che non è in discussione. Ce n’è un’altra, forse più sotterranea, ma altrettanto importante: il benessere dei giovani, etimologicamente inteso come ‘stare bene’ in ogni componente dell’esistenza. E noi, adulti, abbiamo il dovere di prenderci cura di loro.